Opposizione al decreto ingiuntivo, mediazione, negoziazione.
note a Cass. Civ. S.U., Sent. n. 19596 del 18.09.2020
Le Sezioni Unite, decidendo su questione di massima di particolare importanza, hanno affermato il seguente principio di diritto: “Nelle controversie soggette a mediazione obbligatoria ai sensi dell’art. 5, comma 1-bis, del d.lgs. n. 28 del 2010, i cui giudizi vengano introdotti con un decreto ingiuntivo, una volta instaurato il relativo giudizio di opposizione e decise le istanze di concessione o sospensione del decreto, l’onere di promuovere la procedura di mediazione è a carico della parte opposta; ne consegue che, ove essa non si attivi, alla pronuncia di improcedibilità di cui al citato comma 1-bis conseguirà la revoca del decreto ingiuntivo”.
In pratica, pertanto, sarà rigido onere del creditore procedente, convenuto nel giudizio di opposizione ma attore sostanziale, attivarsi per promuovere la prevista procedura, pena l’improcedibilità della domanda avanzata in sede monitoria e conseguente revoca del decreto ingiuntivo (il quale, tuttavia, potrà nuovamente ottenersi in esito al deposito di un nuovo ricorso, non potendosi ritenere consumato il diritto ad agire).
Quid juris per il caso in cui il Giudice dovesse ordinare alle Parti, genericamente, l’attivazione del procedimento di negoziazione assistita, anziché di mediazione?
L’art. 3, comma 1, del D.L. 132/2014 dispone che “l’esperimento del procedimento di negoziazione assistita è condizione di procedibilità della domanda giudiziale”. Come è noto, la disposizione opera, tra l’altro, in presenza di giudizi in cui si domanda il “pagamento a qualsiasi titolo di somme non eccedenti cinquantamila euro”.
In tali ipotesi, a parere dello scrivente, non vi è ragione affinché si giunga, per il caso di mancata attivazione della procedura di negoziazione assistita, a risultati diversi da quelli trattati nella pronuncia in commento: la domanda - monitoria - dovrà ritenersi improcedibile ed il decreto dovrà conseguentemente ritenersi revocato. Allo stesso risultato, infine, si dovrebbe giungere laddove l’invito alla negoziazione o la domanda di mediazione siano presentati dall’Opponente (anziché dall’Opposto), atteso che è evidente la differente causa petendi tra le due posizioni (accertamento del credito e della sua esigibilità da una parte, negazione totale o parziale della debenza dall’altra).
La giurisprudenza, tuttavia, non ha maturato una visione univoca: il dato letterale della norma, infatti (art. 3 co. III D.L. 132/2014) escluderebbe dal campo dell’obbligatorietà della negoziazione (e della conseguente improcedibilità) i procedimenti per ingiunzione e le cause in opposizione.
Avv. Stefano Bisignano
Firma digitale degli atti processuali
note a Cass. Civ. S.U., Sent. n. 10266/18 del 27.04.2018
La digitalizzazione del processo ha comportato problemi interpretativi e pratici che hanno generato eccezioni processuali relativi, per esempio, all’apposizione della firma digitale sugli atti - e segnatamente sugli atti introduttivi, alla carenza della stessa ed alla conseguente nullità assoluta dell’atto (con effetti travolgenti sull’intero procedimento). In particolare, le eccezioni hanno riguardato il formato dell’atto digitale: l’atto, in .pdf cd. “nativo” può infatti - una volta sottoscritto - essere salvato in due differenti formati (PAdEs o CAdEs). Resta da verificare se la sottoscrizione PAdEs (estensione PDF) sia altrettanto valida di quella CAdEs (estensione P7M): in senso positivo si è espressa la Corte di Cassazione, a Sezioni Unite (cfr. n. 10266/18 del 27.04.2018), la quale si richiama al diritto dell’Unione Europea, secondo cui le firme digitale di tipo Cades oppure di tipo Pades (ovverosia Pdf) sono equivalenti e devono essere riconosciute e convalidate dai Paesi membri, senza eccezioni. In altri termini, al fine di garantire una disciplina uniforme della firma digitale nell’Ue, sono stati adottati degli standard europei mediante il cosiddetto regolamento eIDAS che impone agli Stati Membri di riconoscere le firme digitali apposte secondo determinati standard tra i quali figurano sia quello Cades che quello Pades. (“Ne deriva che, secondo il diritto dell’UE, le firme digitali di tipo CAdES, ovverosia CMS - Cryptographic Message Syntax - Advanced Electronic Signatures, oppure di tipo PAdES, ovverosia PDF - Portable Document Format - Advanced Electronic Signature, che qui interessano, sono equivalenti e devono essere riconosciute e convalidate dai Paesi membri, senza eccezione alcuna. In altri termini, al fine di garantire una disciplina uniforme della firma digitale nell’UE, sono stati adottati degli standards Europei mediante il cd. regolamento eIDAS - electronic IDentification, Authentication and trust Services, ovverosia il Reg. UE, n. 910/2014, cit. - e la consequenziale decisione esecutiva - Comm. UE, 2015/1506, cit. - , che impongono agli Stati membri di riconoscere le firme digitali apposte secondo determinati standards tra i quali figurano sia quello CAdES sia quello PAdES - Cons. Stato, Sez. 3, 27/11/2017, n. 5504”).
Anche secondo la normativa nazionale la struttura del documento firmato può essere indifferentemente Pades o Cades (cfr. artt. 19 e 12 Spec. Tecniche PCT). In entrambi gli standards il certificato di firma è inserito nella busta crittografica. E quest’ultima, anche se generata con la firma Pades, contiene sempre il documento, le evidenze informatiche e i certificati prescritti, il che consente tutte le verifiche del caso, anche secondo il diritto eurounitario. Non ci sono in dottrina e prassi elementi per ritenere che il formato CAdEs (p7m) sia più affidabile del formato PAdEs (pdf).
Avv. Stefano Bisignano